Orizzontescuola.it – 02/05/2020 – Assenza per gravi patologie, la documentazione per la scuola deve contenere la diagnosi? di Avv. Marco Barone
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Il comma 9 dell’art. 17 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del personale della scuola così afferma: “In caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia, di cui ai commi 1 e 8 del presente articolo, oltre ai giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital anche quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie. Pertanto per i giorni anzidetti di assenza spetta l’intera retribuzione”.
Il problema che si pone è se per ottenere questi benefici la documentazione debba o meno contenere la diagnosi, sacrificando, dunque la privacy del dipendente. La questione non è semplice anche se le indicazioni che emergono vanno nella direzione del sacrifico della privacy.
Per essere esclusi dall’obbligo delle fasce di reperibilità e computo di malattia che documentazione va presentata?
L’articolo 4 del Decreto 206/2017 specifica che sono esclusi dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti per i quali l’assenza sia chiaramente riconducibile tra le varie casistiche anche a quella di patologie gravi che richiedono terapie salvavita. Il parere del Dipartimento Funzione Pubblica n. 2 del 15 marzo 2010 afferma che l’amministrazione può ricorrere all’esenzione delle visite fiscali quando è in possesso della documentazione idonea, quando sia in possesso “ della necessaria documentazione formale consistente nella documentazione relativa alla causa di servizio,all’accertamento legale dell’invalidità,alla denuncia di infortunio e nel certificato di malattia che giustifica l’assenza dal servizio e che indica la causa di esenzione”
Da ciò si desume chiaramente che certificazioni presentate dal dipendente non devono essere di contenuto generico ma devono riportare in modo chiaro e dettagliato le indicazioni con riferimento alla grave patologia e terapie salvavita.
La privacy può essere sacrificata?
La Cass. civ. Sez. III Ordinanza, 31/01/2018, n. 2367 afferma “L’interpretazione delle norme preposte alla tutela della riservatezza, con particolare riferimento ai dati sensibili quali certamente sono quelli concernenti le condizioni di salute del dipendente malato, induce a ritenere che il datore di lavoro debba essere a conoscenza soltanto della conferma della prognosi da parte del medico fiscale e che, dunque, qualsiasi indicazione – anche concernente le visite specialistiche prescritte – dalla quale possa essere desunta la diagnosi, debba ritenersi contrastante con la normativa sulla tutela della privacy.
Questo è quanto vale per la malattia in genere. Ma per conseguire dei benefici ad hoc, l’orientamento che si è affermato nella Pubblica Amministrazione è di tenore opposto. Diverse scuole nelle loro circolari richiamano la Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 2 del 28/09/2010 che così afferma: “esistono però alcune situazioni particolari in cui il datore ha necessità di conoscere la diagnosi. (…) ciò accade nelle ipotesi di esenzione dalla decurtazione della retribuzione e dal regime della reperibilità ai fini della visita fiscale. In queste situazioni l’amministrazione è tenuta ad applicare il regime generale a meno che non abbia la documentazione che consenta di derogarvi ed è innanzitutto interesse del dipendente che si assenta che l’amministrazione abbia tutti gli atti necessari per applicare in maniera corretta la normativa di riferimento”.
La circolare dell’USR Lombardia
Si veda ad esempio la circolare dell’USR della Lombardia Prot. MIUR AOO DRLO R.U. 12207 del 12.09.2012: L’art. 5, c.1, lett. a) del D.L.gs 124/98 del Ministero della sanità, e successivo regolamento (D.M. 329/99, come modificato dal DM 296/2001 e dal DM 279/2001), prevede un elenco di malattie considerate croniche ed invalidanti e di malattie rare che danno diritto a vari benefici, ma non tali da essere trasposte integralmente ai fini della normativa di cui al succitato art. 17. Non esiste dunque, allo stato, una elencazione di patologie gravi, ma solo la possibilità, da parte della competente ASL, di certificarne la gravità. Risulta necessario, dunque, che il dipendente interessato fornisca la prova della sussistenza di tale presupposto presentando la relativa certificazione medica, rilasciata dalla competente ASL di appartenenza (può trattarsi anche del medico curante o di specialista che opera presso gli ambulatori ASL) che attesti la sussistenza della grave patologia. Tale certificazione non è però sufficiente a consentire automaticamente la fruizione dell’agevolazione contrattualmente prevista. La norma, infatti, fa riferimento a terapie che, per modalità, tempi ed effetti pongano il dipendente in condizione di non poter lavorare (vedi nota precedente di questo Ufficio prot. 10038 del 23.07.2004). La certificazione prodotta, dunque, dovrà far riferimento anche al percorso terapeutico adottato e contenere l’indicazione dei giorni durante i quali il dipendente dovrà essere considerato parzialmente e/o temporaneamente non in grado di assumere servizio In considerazione della incontestabile sensibilità dei dati trattati, tutta la documentazione afferente i casi in esame dovrà essere gestita secondo la disciplina dettata dal D. Lgs. 196/2003 (codice in materia di protezione dei dati personali). Del resto, non risultano calzanti nei casi in esame, ragioni legate a privacy e riservatezza. Esistono infatti, come anche riportato dalla C.M. del P.d.C.M. 2/2010, situazioni particolari, nelle quali il datore di lavoro ha necessità di conoscere la diagnosi. Sono, in particolare, situazioni nelle quali si deve decidere se applicare o meno al dipendente un regime di favore. In tali casi la P.A. è obbligata ad applicare il regime generale, a meno che non sia in possesso della documentazione che le consentirà di applicare il regime più favorevole”.
La circolare dell’USR Calabria Prot. n. AOODRCAL 4401, del 3 aprile 2013
“La certificazione medica prodotta dal dipendente deve, pertanto, contenere l’indicazione della grave patologia e della relativa terapia che deve essere effettuata, e deve essere rilasciata dalla competente Struttura Sanitaria Pubblica–Ufficio di Medicina Legale o equiparato-. In modo specifico e puntuale nella certificazione deve essere indicato: a)che trattasi di “grave patologia”;b)il tipo di terapia cui il lavoratore è sottoposto ed i suoi eventuali effetti “invalidanti”.E’, necessario, quindi, che nella certificazione risulti in maniera chiara e inequivocabile che il dipendente sta praticando delle terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti richieste da una grave patologia, indicando chiaramente i periodi di durata di tale attività. (…) Ad ulteriore precisazione, si ritiene che le certificazioni sopra richiamate, non possono essere di contenuto generico ma debbono riportare in modo chiaro e inequivocabile indicazioni specifiche in termini di grave patologia e conseguente terapia. Non possono addursi in merito motivazioni legate a motivi di riservatezza e di privacy In caso di mancata ostensione da parte del lavoratore dei dati ritenuti necessari, l’istituzione scolastica interessata potrà quindi non riconoscere le garanzie contrattuali sopra richiamate, dandone comunicazione all’interessato”.
Il parere dell’ARAN
L’ARAN in alcuni suoi orientamenti riguardanti altri settori del Pubblico Impiego riconosce che la privacy può essere sacrificata sul punto: “Per il riconoscimento del beneficio, il lavoratore dovrà pertanto produrre una adeguata e chiara certificazione medica da cui, appunto, risulti non solo la sua condizione morbosa, ma anche l’ulteriore attestazione che la stessa si configura come patologia grave che ha richiesto o richiede la effettuazione di terapie salvavita. Al riguardo si rammenta, altresì, che la comunicazione di tali dati è finalizzata esclusivamente all’attribuzione del beneficio. Esiste comunque il divieto per gli Uffici competenti di diffondere informazioni idonee a rivelare lo stato di salute dei dipendenti, come ribadito anche dal d.lgs. n. 196 del 2003 e s.m.i.. Siffatta interpretazione è, del resto, confortata dalla presenza di analoghe situazioni (ad esempio l’applicazione della legge n.104 del 1992, la disciplina per i dipendenti in particolari condizioni psicofisiche oppure per mutilati ed invalidi civili, ecc.) in cui il diritto al riconoscimento di maggiori benefici previsto dalle norme vigenti, siano esse contrattuali o di legge, si accompagna alla esibizione di una certificazione medica più dettagliata, anche se ciò comporta un parziale sacrificio della propria “privacy” .